Il Pittoralismo ed oltre di Céline Laguarde
Ho visitata questa mostra dopo essermi immersa nella la folla e nel caos energetico di Paris Photo, è stato come un lancio in paracadute, atterrando in prossimità di un lago, nella quieta e nella dolcezza del paesaggio… disegnando volti in bianco e nero di una poesia rara. Parlo di una fotografa che non tutti conoscono per fama, che ha accarezzato la luce con una profondità e sensibilità che pochi possono vantare. Questo viaggio nella luce e nelle ombre, di una pioniera ritrovata, è stato possibile grazie al Musée d'Orsay che ha svelato al mondo un tesoro nascosto: l'opera di Céline Laguarde, una fotografa francese che, nonostante il suo indiscusso talento e successo, era stata ingiustamente dimenticata per quasi un secolo. La mostra dedicata alla sua opera, aperta dal 24 settembre 2024 al 12 gennaio 2025 (come sempre dico, ci sono mostre che meritano il viaggio), è un invito a riscoprire una pioniera della fotografia, una donna che ha saputo plasmare la luce e l'ombra in immagini di straordinaria bellezza e profondità.
Céline Laguarde fu una delle figure di spicco del pittorialismo, il primo movimento artistico dedicato alla fotografia. Le sue opere, caratterizzate da una raffinata tecnica e da una sensibilità pittorica, la collocavano ai vertici della fotografia internazionale all'inizio del XX secolo. Eppure, il suo nome era scomparso dai radar della storia dell'arte, abitudine purtroppo quando si tratta di figure femminili nell’arte e non solo, ma che il tempo ha ben conservato tenendole vive più che mai.
Questa mostra, frutto di anni di ricerche e di un meticoloso lavoro di ricostruzione del suo archivio, rivela un'artista dalle mille sfaccettature. Attraverso oltre centotrenta stampe originali, si può seguire l'evoluzione della sua poetica visiva, dalle prime sperimentazioni ai capolavori maturi. Ritratti intensi, paesaggi evocativi e studi di figure permettono di apprezzare la sua maestria nel padroneggiare i processi di pigmentazione, tecniche complesse che le conferivano un controllo assoluto sulla luce e sulle tonalità. Un Pittorialismo inatteso , una mostra che racconta di una donna che ha vissuto in un'epoca di grandi cambiamenti muovendosi in un ambiente culturale effervescente, intrecciando relazioni con artisti, scrittori e intellettuali del suo tempo. La sua figura si inserisce in un contesto più ampio, quello della fotografia femminile in Francia alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo, un ambito ancora poco esplorato dalla critica.
Nata nel cuore del Paese Basco da una famiglia della borghesia terriera, Céline Laguarde manifestò fin da giovane una spiccata sensibilità artistica. Trasferitasi a Parigi nel 1880, entrò in contatto con l'ambiente culturale parigino e, dopo essersi stabilita ad Aix-en-Provence, si affermò come una delle figure di spicco del movimento pittorialista francese. La sua adesione al Photo-Club de Paris, nel 1902, segnò una svolta decisiva nella sua carriera. Sotto la guida di Robert Demachy, maestro indiscusso del pittorialismo, Laguarde approfondì la tecnica della gomma bicromata, che le permise di ottenere stampe dalla resa pittorica straordinaria, avvicinandosi all'estetica delle incisioni e dei disegni. La sua produzione artistica, caratterizzata da un'ampia gamma di soggetti – ritratti, paesaggi, nature morte – si distingue per la raffinatezza tecnica e la sensibilità compositiva. La sua intensa attività espositiva, sia in mostre collettive che personali, le valse numerosi riconoscimenti e la stima della critica. La collaborazione con artisti come Darius Milhaud e Léo Latil, con i quali instaurò un proficuo scambio creativo, arricchì ulteriormente la sua produzione. Con il matrimonio con l'entomologo Édouard Bugnion, la sua vita subì una svolta, dedicandosi anche alla microfotografia scientifica. Tuttavia, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la conseguente dissoluzione del gruppo dei pittorialisti francesi, Laguarde si allontanò gradualmente dalla fotografia per dedicarsi alla musicologia, seguendo le ricerche del marito.
L'opera di Céline Laguarde rappresenta un capitolo fondamentale nella storia della fotografia francese, un'eredità artistica importante. La sua capacità di coniugare la tecnica fotografica con la sensibilità pittorica, anticipando alcune delle tendenze dell'arte moderna, non può che collocarla tra le più importanti artiste del suo tempo, invitando a ripensare la storia della fotografia, a rivalutare il ruolo delle donne nell'arte e a riconsiderare il pittorialismo come un movimento complesso e sfaccettato. Non è mai tardi, e soprattutto in un epoca dove le immagini abbracciano ogni e superano ogni confine materico, astratto, effimero e senza più regole, vedere queste opere ci dovrebbe ricordare che tutto è frutto del nostro vissuto, che ogni creazione nasce da una testa e un cuore che sente e sprigionano parole e visioni, da quel che siamo.















Paris Photo 2024
date » 13-11-2024 16:46
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𝙏𝙖𝙘𝙘𝙪𝙞𝙣𝙤 - 𝙖𝙥𝙥𝙪𝙣𝙩𝙞 𝙨𝙥𝙖𝙧𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝙪𝙣 𝙙𝙞𝙖𝙧𝙞𝙤 𝙨𝙜𝙪𝙖𝙡𝙘𝙞𝙩𝙤
• su Paris Photo 2024
"L'aria è infetta dal puzzo di fotografia"
Robert Frank
nota: Il Grand Palais, con la sua maestosa architettura, ha nuovamente ospitato un evento che consacra Parigi come capitale indiscussa della fotografia. Paris Photo 2024, con la sua selezione curata di opere e la sua atmosfera vibrante, si è rivelata un'esperienza coinvolgente per appassionati, collezionisti e critici.
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Luogo dove immergersi, perdersi e trovarsi con e senza fotografia, dove poter comprendere e non la fotografia.
La parte dedicata ai libri fotografici è quella più stimolante, la fotografia diventa narrazione godibile su carta, e nel modo più accurato possibile, quasi sempre.
Cosa ha colpito il mio sguardo, tratti brevi, il tempo non è mai abbastanza, come sorseggiare per la prima volta un buon vino, hai necessita di ritornare e decantare. La folla distrae, tante opere ammiccanti, gallerie vestite a dovere, fotografe e fotografi in cornice, evocano, parlano, dicono di tutto.
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Camminare nella folla, alla deriva provare ad osservare.
Con la filosofia della flânerie, lasciandosi “andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono”.
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Sander, 169 ritratti in bianco e nero, un vero monumento.
La galleria tedesca, con le sue radici profondamente ancorate a Colonia, fa un'entrata scenografica alla fiera, occupando l'attenzione con uno stand monumentale. Un'unica parete, che si estende per oltre dieci metri, è interamente dedicata a un'opera colossale: il "magnum opus" di August Sander, "People of the 20th Century".
Julian Sander, gallerista e pronipote dell'iconico fotografo, ha scelto di presentare al pubblico europeo, per la prima volta in questa forma completa, un affresco visivo senza precedenti della società del Novecento. 619 ritratti in bianco e nero, stampe alla gelatina d'argento realizzate negli anni '90 a partire dai negativi originali, ci offrono un'istantanea di un'epoca, catturando uomini e donne nelle loro vesti quotidiane, nei loro ruoli sociali. Un mosaico umano che abbraccia l'intera gamma delle classi sociali, dai più umili ai più elevati, in un'indagine antropologica che non ha eguali.
Con questo ambizioso progetto, Sander non si limita a ritrarre individui, ma ci offre un'analisi profonda della società del suo tempo. Come affermava lo stesso Sander, l'obiettivo era quello di "dare la vera psicologia del nostro tempo e delle nostre persone”.
Ogni volto, ogni posa, ogni sguardo sono un frammento di un puzzle più grande, un tentativo di svelare la "vera psicologia" di un'epoca in rapida evoluzione.
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Monitor ci immerge nel mondo di Elisa Montessori, un labirinto visivo dove natura e arte si intrecciano. Al centro, un libro-opera, un erbario infinito di acquerelli ibridi. Alle pareti, collage poetici che giocano con presenza e assenza. L'opera '14142 x 14142 = 2, square meters of art' è un manifesto di questa ricerca: un campo di erba, reale e immaginario, dove il vuoto stesso diventa forma. Un'ontologia visiva che trasforma lo spazio, un'azione poetica che riscrive il mondo."
"Nel bianco e nero dei collage degli anni '70, Elisa Montessori intreccia un dialogo serrato tra fotografia e disegno. Le immagini, catturate dall'obiettivo, si confrontano con il tratto deciso della matita, in un gioco di sovrapposizioni e tensioni. Il modulo quadrato, come una griglia che scandisce lo spazio, diventa il contenitore di questa dialettica, dove il reale e l'astratto si fondono in un'unica, complessa visione. La Montessori, con questa sperimentazione, ci invita a riflettere sul ruolo della fotografia nell'arte contemporanea, e sul potere del segno manuale di riappropriarsi di un medium spesso considerato oggettivo e distaccato."
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𝙰𝚛𝚌𝚑𝚒𝚟𝚒𝚘 𝙿𝚎́𝚎𝚛𝚎𝚣 & 𝙲𝚊𝚕𝚕𝚎, 𝚚𝚞𝚊𝚕𝚌𝚘𝚜𝚊 𝚍𝚒 𝚖𝚎𝚛𝚊𝚟𝚒𝚐𝚕𝚒𝚘𝚜𝚘.
l'Archivos Pérez & Calle di Bogotá ci invita in un viaggio intimo attraverso la fotografia. Julio Pérez, un collezionista appassionato, ci apre le porte del suo archivio personale. Senza etichette, né sito web, l'esperienza è quasi tattile. Tra le pagine ingiallite, ritratti di icone come Brigid Berlin si mescolano a polaroid "post mortem" e a scatti di artisti colombiani meno noti. Piccoli album, oggetti trovati e "photo sculpture" completano questo mosaico di immagini e ricordi, un invito a perdersi in un mondo fatto di scoperte casuali.
L'Archivos Pérez & Calle di Bogotá è un'isola nel mare di Paris Photo, lontano dai circuiti tradizionali dell'arte, offre un'esperienza autentica. Tra le sue pagine, un tesoro di immagini: polaroid, ritratti, fotomontaggi. Ogni opera è un frammento di una storia, un testimone di un'epoca. Un luogo dove l'arte incontra la vita, e dove il collezionista diventa narratore.
Dai colombiani Maria Cristina Cortés, Manolo Vellojin poi Brigid Berlin, amica storia di Andy Warhol che lo ha introdotto alla Polaroid, si prosegue con delle “post mortem polaroid”, una serie di “foto brut” di Pepe Gaitán e di Emma Reyes, artista colombiana che ha vissuto per anni in Francia e di cui hanno dei lavori corredati delle lettere che mandava al suo gallerista di allora. Si arriva infine a piccoli album, oggetti da collezione legati alla fotografia, delle “photo sculpture” come si dice in America Latina, fotografie di persone perfettamente ritagliate e poste su delle strutture di legno che seguono quella stessa sagoma, un kitsch adorabile
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Per il terzo anno consecutivo, Alberto Damian torna alla sezione principale di Paris Photo, portando con sé un'installazione che, come sempre, avvolge lo spettatore in un'atmosfera sospesa, dominata dai toni del grigio. In questo spazio intimo e raccolto, la fotografia in bianco e nero diventa protagonista assoluta, dando voce a quattro grandi maestri italiani: Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Marialba Russo e Franco Zecchin (firmata copie per l'occasione, sorridendo stanco).
Tra le opere esposte, spiccano due scatti di Letizia Battaglia che ritraggono un evento tragico, la morte del sindaco Vito Lipari, vittima della mafia. L'immagine scelta da Jim Jarmusch per la campagna di Elle x Paris Photo, "The ball. New Years’ Eve Party at Villa Airoldi", contrasta nettamente con la cruda realtà del funerale, catturato dall'obiettivo della fotografa siciliana.
Quest'ultima, in particolare, presenta due istantanee di un medesimo istante, ma da prospettive radicalmente diverse. Da un lato, il corpo senza vita di Lipari giace riverso a terra, in una posa che rimanda al Cristo Morto di Mantegna, ma capovolta e profanata. La chiazza di sangue, resa quasi sacra dal bianco e nero, crea un contrasto stridente con la violenza dell'atto. Dall'altro lato, lo stesso momento è documentato da Franco Zecchin, che inquadra la scena da una diversa angolazione, focalizzando l'attenzione sui fotografi accorsi sul luogo del delitto, tra cui la stessa Battaglia, accovacciata e apparentemente sconvolta.
Le due immagini, poste a confronto, creano un dialogo intenso e perturbante, invitando lo spettatore a riflettere sulla natura della violenza, sulla fragilità della vita e sulla potenza della fotografia come strumento di denuncia e di memoria. Damian, con la sua curatela attenta e raffinata, ci offre un'esperienza visiva coinvolgente, che trascende i confini della semplice documentazione, per addentrarsi nei territori più profondi dell'animo umano."
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Mi è bastata un’unica fotografia (accade con i grandi artisti…) a farmi capire che faceva parte di un racconto interessantissimo e pieno di vita. Nel cuore pulsante della città che non dorme mai, un'oasi di resistenza. Il Tenderloin, quartiere leggendario di San Francisco, si erge come baluardo contro le spinte omogeneizzanti della gentrificazione, conservando un'anima autentica e ribelle. Un tempo rifugio di bordelli, sale da gioco e locali jazz, oggi è un crocevia di storie e di vite ai margini. Le fotografie di Pieter Hugo, in mostra alla galleria di Jonathan Carver Moore, catturano l'anima di questo quartiere, svelando la dignità e la forza di coloro che lo abitano. I volti ritratti sono più che semplici immagini: sono testimonianze di una lotta quotidiana per la sopravvivenza, ma anche di una straordinaria capacità di resilienza.""Un'opera di luce e ombra, un inno alla diversità. Le fotografie di Pieter Hugo ci conducono nel cuore del Tenderloin, un quartiere che sembra uscito da un dipinto di Caravaggio. I contrasti sono forti, le emozioni intense: la luce cruda che inonda le strade, le ombre che si allungano sui volti segnati dalla vita, i colori sgargianti che emergono dalla monotonia. Hugo, con la sua maestria, trasforma la realtà in arte, elevando i soggetti ai ranghi di icone contemporanee.I suoi ritratti non sono semplici istantanee, ma il frutto di un'interazione intensa, di uno scambio di sguardi e di emozioni. Attraverso l'obiettivo, Hugo ci offre uno sguardo intimo e commovente sulla condizione umana, invitandoci a riflettere sul valore di ogni individuo."
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Yamamoto Kansuke: Sognando oltre la realtà
Nelle profondità dell'anima giapponese, dove la tradizione ancestrale si intreccia con le avanguardie artistiche del Novecento, emerge la figura enigmatica di Kansuke Yamamoto. Fotografo, poeta, visionario, la sua opera è un caleidoscopio di immagini che trascendono la mera rappresentazione della realtà, per addentrarsi in un mondo onirico e surreale.
Nato ad Aichi nel 1914, Yamamoto fu fin da giovane affascinato dalle parole e dalle immagini. La sua formazione letteraria, unita alla scoperta della fotografia, lo condusse verso una sperimentazione artistica senza precedenti. Le sue prime opere, realizzate negli anni '30, sono già un manifesto della sua poetica: oggetti comuni trasformati in enigmi visivi, nature morte che pulsano di vita, ritratti che indagano le profondità dell'animo umano.
Yamamoto è stato uno dei pionieri del Surrealismo in Giappone, un movimento che lo ha profondamente ispirato. Le sue fotografie, spesso realizzate con tecniche innovative come il collage e il fotomontaggio, sono un invito a esplorare l'inconscio, a svelare le contraddizioni e le inquietudini che animano l'uomo contemporaneo.
Ma l'opera di Yamamoto non si limita alla fotografia. Pittura, scultura, teatro visivo: sono solo alcune delle discipline che ha esplorato con la stessa passione e originalità. In ogni sua creazione, emerge una sensibilità unica, capace di coniugare l'estetica giapponese con le avanguardie europee.
Le sue opere sono un invito a perdersi in un labirinto di significati, a decifrare i simboli e le metafore che popolano il suo immaginario. Sono un omaggio alla bellezza, ma anche una riflessione profonda sulla condizione umana, sulla fragilità dell'esistenza e sul potere dell'immaginazione.
Un'eredità indelebile
L'opera di Yamamoto Kansuke continua a esercitare un fascino irresistibile su critici e appassionati d'arte. Le sue fotografie, esposte in prestigiose istituzioni museali in tutto il mondo, sono un patrimonio inestimabile per la storia dell'arte del XX secolo.
Yamamoto ci ha lasciato un'eredità straordinaria: un invito a guardare al mondo con occhi nuovi, a scoprire la poesia nascosta nelle cose più semplici, a sognare oltre la realtà.
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François Bucher, maestro del gioco tra realtà e finzione, ci invita in un labirinto urbano dove il tempo si dilata, si contrae e si ripiega su se stesso. Nelle sue opere, la città, con le sue pulsazioni quotidiane e i suoi angoli più nascosti, diventa un palcoscenico su cui si mettono in scena complesse riflessioni sulla natura del tempo, della memoria e dell'identità.
A metà degli anni Novanta, Bucher rivolge il suo sguardo verso le arterie pulsanti della città, catturando frammenti di quotidianità che si trasformano, nelle sue mani, in poetiche meditazioni. Le sue installazioni, come "I Giocatori" o "Autentiche Imitazioni di Repliche Genuine", sono veri e propri labirinti visivi, dove il reale si mescola all'immaginario, e dove il gioco diventa uno strumento per svelare le molteplici sfaccettature della realtà.
Un elemento ricorrente nelle opere di Bucher è la manipolazione del tempo. Attraverso sovrapposizioni di immagini, giochi di specchi e installazioni interattive, l'artista ci invita a riflettere sulla fugacità dell'istante e sulla persistenza della memoria. L'acquisto dell'archivio fotografico "Macondo" rappresenta un punto di svolta nella sua ricerca artistica. Centinaia di migliaia di immagini, ritraenti i volti e i gesti di migliaia di persone, diventano il materiale grezzo per una riflessione profonda sul tempo che passa e sulla natura effimera dell'esistenza.
In "Archivio Macondo (la curva del tempo zero)", Bucher trasforma questo immenso archivio in un'opera complessa e affascinante, dove il tempo si dilata e si contrae secondo le leggi dell'I Ching. L'artista, ispirandosi alle teorie di Terence McKenna, utilizza l'antico oracolo cinese per estrarre dal caos delle immagini un ordine nascosto, una sorta di "firma del tempo". Ogni fotografia diventa così un frammento di un puzzle cosmico, un tassello di una storia più grande che va oltre la singola immagine.
L'opera di Bucher è un invito a rallentare, a osservare con attenzione la realtà che ci circonda, a cogliere quei dettagli che spesso sfuggono al nostro sguardo distratto. Attraverso la manipolazione del tempo e dello spazio, l'artista ci mostra come la realtà sia un costrutto fluido e mutevole, e come la nostra percezione del mondo sia profondamente influenzata dalle nostre esperienze e dalle nostre aspettative.
In conclusione, François Bucher ci offre una visione affascinante e complessa della realtà, invitandoci a riflettere sulla nostra condizione di esseri umani nel tempo e nello spazio. Le sue opere sono un invito a esplorare i meandri della nostra mente e a scoprire le infinite possibilità che si celano dietro la superficie delle cose.
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Meraviglioso. È quetsa l’opera di Tamas Dezso Tout se met à flotter (Autumn)
2024
Tutto inizia a galleggiare, così dice Antoine Roquentin, perso in una rêverie sulla radice di un castagno. Il protagonista principale del romanzo La nausea di Jean-Paul Sartre presto si renderà conto di essere lui stesso solo uno degli oggetti che lo circondano. Il suo punto di vista umano e privilegiato diventa insignificante. La sua personalità si dissolve nell'infinita moltitudine dell'impersonale, mentre l'esistenza con il suo disordine, la sua assurdità e la sua nudità diventa aliena. La sensazione umanistica di "tutto inizia a galleggiare" può essere paragonata al concetto di ontologia piatta, che gioca un ruolo centrale nella filosofia postumanista contemporanea. L'aggettivo "piatto" si riferisce al fatto che ogni entità - sia umana che non umana, viva o morta - ha lo stesso status ontologico. Vale a dire, nessuno e niente ha una posizione o un significato eccezionale rispetto agli altri.
I dittici rappresentano la proliferazione della vegetazione superficiale di una foresta alpina su due fotografie a colori negative. Poiché la percezione umana si concentra principalmente su colori vivaci, contrasti, suoni e movimenti - fenomeni che un tempo rappresentavano un pericolo e influivano direttamente sulla sopravvivenza della nostra specie - l'esistenza vegetale silenziosa, lenta e ininterrotta è stata confinata alla periferia dell'attenzione umana ed è diventata uno sfondo inosservato delle nostre vite. L'opera offre un doppio gesto: da un lato, presenta una forma di esistenza altrimenti trascurata in un formato insolitamente grande, e dall'altro interrompe la percezione spaziale del destinatario invertendo l'immagine in negativo: "tutto inizia a galleggiare" in assenza di ombre. La nostra percezione è sopraffatta da un'interpretazione forzata. Continua a cercare di attribuire significato alle forme. I colori complementari, le tonalità e i contrasti che sostituiscono l'antica ambientazione sullo sfondo verde costringono la mente a riapprendere e relazionarsi in un nuovo modo. Il luogo rappresentato cessa di essere un luogo ed è sostituito dalla vista di una strana, aliena, decentralizzata e non gerarchica organizzazione di attori vegetali. Il semplice gesto dell'immagine negativa nasconde i nostri abituali disturbi e carenze percettive, che si traducono nella contingenza, nella qualità e nella radicale alterità dell'esistenza vegetativa nascosta. L'imaging invertito non è solo un modo estetico di espressione, ma un tentativo di ripensare il nostro rapporto con i nostri modi di vedere e con la natura.
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Nel buio della pellicola: un dialogo tra arte, storia e potere
L’arte, specchio dell’anima e riflesso della realtà, si trova spesso a confrontarsi con domande esistenziali che sfidano le sue stesse fondamenta. Se è vero che da sempre l’artista ha cercato di catturare l’essenza del mondo, rappresentandone gioie e dolori, come si pone di fronte a una realtà cruda, a una verità scomoda? Quando la rappresentazione della sofferenza diventa arte, dove si tracciano i confini tra documentazione e manipolazione?
Questi interrogativi trovano un eco profondo nel progetto collaborativo “Killing the Negative: A Conversation in Art & Verse”, nato dall’incontro tra l’artista visivo Joel Daniel Phillips e il poeta Quraysh Ali Lansana. Tutto ha inizio con una scoperta casuale: sfogliando le fotografie della Farm Security Administration (FSA), Phillips si imbatte in un’immagine di Walker Evans, un negativo letteralmente “ucciso”, con un buco nero al centro.
Questo gesto, apparentemente distruttivo, nasconde in sé una complessità inattesa. Dietro l’atto di cancellare un’immagine si cela una presa di posizione, una scelta che parla di potere, di controllo della narrazione. Roy Stryker, direttore della FSA, con la sua pratica di distruggere le fotografie che non lo soddisfacevano, esercitava una forma di censura, decidendo quali frammenti di realtà potessero essere visti e quali invece dovevano rimanere nascosti.
Phillips e Lansana, di fronte a questo vuoto, decidono di riaprire il dialogo, di dare voce a quella parte di storia che era stata silenziata. Il loro progetto diventa così un’indagine approfondita sulle intersezioni tra arte, storia e potere, un invito a riflettere sul ruolo della fotografia nel documentare la realtà e sulla responsabilità dell’artista di fronte alla verità.
Le poesie che accompagnano le immagini, scritte da autori come Joy Harjo, Jaki Shelton Green e Randall Horton, aggiungono un ulteriore livello di complessità al progetto. Le parole, intrecciandosi con le immagini, creano un dialogo polifonico, dove passato e presente si fondono, e la voce dei poeti si unisce a quella degli scatti fotografici.
“Ci sono molti tipi di tempo in una fotografia, proprio come in una poesia”, scrive Joy Harjo. In effetti, ogni immagine è una sorta di istantanea, un frammento di un tempo che non tornerà più. Ma è anche molto di più: è un invito alla riflessione, un punto di partenza per costruire nuove narrazioni.
“Killing the Negative” ci ricorda che l’arte non è solo bellezza, ma anche impegno civile. È uno strumento per dare voce ai senza voce, per denunciare le ingiustizie e per costruire un futuro migliore. E ci invita a guardare oltre le apparenze, a scavare nelle profondità delle immagini, per scoprire le storie nascoste che si celano dietro ogni scatto.
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Case Tokyo - Eiji Ohashi,
I distributori automatici si trovano lungo quasi tutte le strade in Giappone. Durante le notti di neve, illuminano le strade e forniscono un senso di sicurezza e calore. Eppure i distributori automatici scompariranno non appena i loro dati di vendita scenderanno al di sotto di numeri soddisfacenti. In alcuni aspetti, la presenza dei distributori automatici sembra ricordare la nostra stessa esistenza.
Colori vivaci che emergono contro una natura selvaggia desolata, seguiti da bellissime luci e ombre monocromatiche catturate durante molte notti tranquille e innevate. Guarda attentamente e potresti trovare il Giappone di oggi riflesso da qualche parte nei ritratti dei distributori automatici di Eiji Ohashi. Una malinconica poesia...
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gocce di perle bianche
date » 13-11-2024 21:39
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Un filo di perle,
un dono di amore autunnale,
pomeriggio parigino in quel passage antico di storie infinite.
Un cuore che batte, sotto un cielo d'oro, un segreto custodito, un tesoro.
Ogni perla, un sospiro, un'emozione, dalla Senna all'Orsay,
un eco antico di donne che sognano, di anime uniche.
Un filo fragile, un ponte tra i secoli,
legando le nostre storie, come veli.
Una crepa appare, un barlume di luce, un'eredità preziosa, una dolce paura.
Una scatola di velluto rosso,
un desiderio che si scioglie,
un giorno speciale, un'alba di zucchero caramellato.
Uno spirito affine, un'anima gemella, in un autunno parigino,
sotto un cielo di perle, dove le carezze sono più dolci...
Un sogno che vola a Parigi
date » 27-07-2024 17:15
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𝚄𝚗 𝚙𝚞𝚗𝚝𝚒𝚗𝚘 𝚌𝚘𝚕𝚘𝚛𝚊𝚝𝚘 𝚜𝚒 𝚜𝚝𝚊𝚌𝚌𝚊 𝚍𝚊𝚕 𝚜𝚞𝚘𝚕𝚘 𝚙𝚊𝚛𝚒𝚐𝚒𝚗𝚘, 𝚒𝚗𝚐𝚛𝚊𝚗𝚍𝚎𝚗𝚍𝚘𝚜𝚒 𝚕𝚎𝚗𝚝𝚊𝚖𝚎𝚗𝚝𝚎 𝚏𝚒𝚗𝚘 𝚊 𝚛𝚒𝚟𝚎𝚕𝚊𝚛𝚎 𝚕𝚎 𝚏𝚘𝚛𝚖𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚒𝚌𝚊𝚝𝚎 𝚍𝚒 𝚞𝚗𝚊 𝚖𝚘𝚗𝚐𝚘𝚕𝚏𝚒𝚎𝚛𝚊 𝚍𝚒 𝚙𝚊𝚜𝚜𝚒𝚘𝚗𝚎. 𝚂𝚒 𝚒𝚗𝚗𝚊𝚕𝚣𝚊, 𝚕𝚎𝚐𝚐𝚎𝚛𝚊 𝚌𝚘𝚖𝚎 𝚞𝚗𝚊 𝚙𝚒𝚞𝚖𝚊, 𝚟𝚎𝚛𝚜𝚘 𝚞𝚗 𝚌𝚒𝚎𝚕𝚘 𝚌𝚑𝚎 𝚜𝚎𝚖𝚋𝚛𝚊 𝚜𝚝𝚎𝚗𝚍𝚎𝚛𝚜𝚒 𝚊𝚕𝚕'𝚒𝚗𝚏𝚒𝚗𝚒𝚝𝚘. 𝙴̀ 𝚞𝚗'𝚒𝚖𝚖𝚊𝚐𝚒𝚗𝚎 𝚌𝚑𝚎 𝚎𝚟𝚘𝚌𝚊 𝚞𝚗 𝚝𝚎𝚖𝚙𝚘 𝚙𝚊𝚜𝚜𝚊𝚝𝚘, 𝚞𝚗'𝚎𝚙𝚘𝚌𝚊 𝚒𝚗 𝚌𝚞𝚒 𝚒 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚒 𝚜𝚎𝚖𝚋𝚛𝚊𝚟𝚊𝚗𝚘 𝚙𝚒𝚞̀ 𝚝𝚊𝚗𝚐𝚒𝚋𝚒𝚕𝚒 𝚎 𝚕𝚊 𝚙𝚘𝚎𝚜𝚒𝚊 𝚊𝚕𝚎𝚐𝚐𝚒𝚊𝚟𝚊 𝚗𝚎𝚕𝚕'𝚊𝚛𝚒𝚊...
𝙳𝚊 𝚕𝚊𝚜𝚜𝚞̀, 𝚕𝚊 𝚅𝚒𝚕𝚕𝚎 𝙻𝚞𝚖𝚒𝚎̀𝚛𝚎 𝚜𝚒 𝚖𝚘𝚜𝚝𝚛𝚊 𝚒𝚗 𝚝𝚞𝚝𝚝𝚊 𝚕𝚊 𝚜𝚞𝚊 𝚖𝚊𝚎𝚜𝚝𝚘𝚜𝚒𝚝𝚊̀, 𝚞𝚗 𝚖𝚘𝚜𝚊𝚒𝚌𝚘 𝚍𝚒 𝚝𝚎𝚝𝚝𝚒 𝚐𝚛𝚒𝚐𝚒, 𝚟𝚒𝚊𝚕𝚒 𝚊𝚕𝚋𝚎𝚛𝚊𝚝𝚒 𝚎 𝚖𝚘𝚗𝚞𝚖𝚎𝚗𝚝𝚒 𝚜𝚝𝚘𝚛𝚒𝚌𝚒. 𝙻𝚊 𝚃𝚘𝚛𝚛𝚎 𝙴𝚒𝚏𝚏𝚎𝚕, 𝚜𝚌𝚒𝚗𝚝𝚒𝚕𝚕𝚊𝚗𝚝𝚎, 𝚜𝚎𝚖𝚋𝚛𝚊 𝚚𝚞𝚊𝚜𝚒 𝚊 𝚙𝚘𝚛𝚝𝚊𝚝𝚊 𝚍𝚒 𝚖𝚊𝚗𝚘, 𝚖𝚊 𝚎̀ 𝚕'𝚊𝚝𝚖𝚘𝚜𝚏𝚎𝚛𝚊 𝚊 𝚌𝚊𝚝𝚝𝚞𝚛𝚊𝚛𝚎 𝚕'𝚊𝚗𝚒𝚖𝚊. 𝙲'𝚎̀ 𝚞𝚗 𝚜𝚎𝚗𝚜𝚘 𝚍𝚒 𝚙𝚊𝚌𝚎 𝚎 𝚍𝚒 𝚖𝚎𝚛𝚊𝚟𝚒𝚐𝚕𝚒𝚊 𝚌𝚑𝚎 𝚝𝚛𝚊𝚜𝚙𝚘𝚛𝚝𝚊 𝚕𝚘𝚗𝚝𝚊𝚗𝚘 𝚍𝚊𝚕𝚕𝚊 𝚏𝚛𝚎𝚗𝚎𝚜𝚒𝚊 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝚟𝚒𝚝𝚊 𝚖𝚘𝚍𝚎𝚛𝚗𝚊. 𝙴̀ 𝚌𝚘𝚖𝚎 𝚜𝚎 𝚕𝚊 𝚖𝚘𝚗𝚐𝚘𝚕𝚏𝚒𝚎𝚛𝚊 𝚌𝚒 𝚙𝚘𝚛𝚝𝚊𝚜𝚜𝚎 𝚒𝚗𝚍𝚒𝚎𝚝𝚛𝚘 𝚗𝚎𝚕 𝚝𝚎𝚖𝚙𝚘, 𝚒𝚗 𝚞𝚗𝚊 𝙿𝚊𝚛𝚒𝚐𝚒 𝚙𝚒𝚞̀ 𝚛𝚘𝚖𝚊𝚗𝚝𝚒𝚌𝚊 𝚎 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚊𝚗𝚝𝚎. 𝚄𝚗𝚊 𝙿𝚊𝚛𝚒𝚐𝚒 𝚍𝚘𝚟𝚎 𝚐𝚕𝚒 𝚊𝚛𝚝𝚒𝚜𝚝𝚒 𝚜𝚒 𝚛𝚒𝚞𝚗𝚒𝚟𝚊𝚗𝚘 𝚗𝚎𝚒 𝚌𝚊𝚏𝚏𝚎̀ 𝚙𝚎𝚛 𝚍𝚒𝚜𝚌𝚞𝚝𝚎𝚛𝚎 𝚍𝚒 𝚊𝚛𝚝𝚎 𝚎 𝚕𝚎𝚝𝚝𝚎𝚛𝚊𝚝𝚞𝚛𝚊, 𝚎 𝚍𝚘𝚟𝚎 𝚕'𝚊𝚖𝚘𝚛𝚎 𝚏𝚒𝚘𝚛𝚒𝚟𝚊 𝚝𝚛𝚊 𝚕𝚎 𝚜𝚝𝚛𝚊𝚍𝚒𝚗𝚎 𝚊𝚌𝚌𝚒𝚘𝚝𝚝𝚘𝚕𝚊𝚝𝚎. 𝚄𝚗 𝚕𝚞𝚘𝚐𝚘 𝚍𝚘𝚟𝚎 𝚒 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚒 𝚙𝚛𝚎𝚗𝚍𝚎𝚟𝚊𝚗𝚘 𝚒𝚕 𝚟𝚘𝚕𝚘, 𝚙𝚛𝚘𝚙𝚛𝚒𝚘 𝚌𝚘𝚖𝚎 𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚊 𝚖𝚘𝚗𝚐𝚘𝚕𝚏𝚒𝚎𝚛𝚊 𝚌𝚑𝚎 𝚜𝚒 𝚕𝚒𝚋𝚛𝚊 𝚗𝚎𝚕 𝚌𝚒𝚎𝚕𝚘 𝚍𝚒 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚒 𝚌𝚑𝚎 𝚟𝚘𝚐𝚕𝚒𝚘𝚗𝚘 𝚟𝚒𝚟𝚎𝚛𝚎 𝚍𝚒 𝚎𝚝𝚎𝚛𝚗𝚘.
m.
26/07/2024
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Lo scrigno di Laura
date » 17-07-2024 22:58
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Laura e il suo scrigno del tempo. Dal mare di Napoli all’infinito di Recanati.
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C'è chi dice che il mare ti porti via l'anima, ma per Laura è stato proprio il richiamo dell'entroterra marchigiano, con le sue colline dolci e i borghi antichi, a farle battere il cuore. Lasciando la frenesia di Napoli, ma non il suo cuore, anni fa ha deciso di imbarcarsi in una nuova avventura, trasferendosi a Recanati, la città del poeta Leopardi e della poesia dell’infinito.
Nel cuore pulsante di Recanati, in una viuzza che sembra uscita da un dipinto, si cela il negozio di antiquariato di Laura. Un luogo magico, dove ogni oggetto racconta una storia, un pezzo di passato che aspetta di essere riscoperto. Tra mobili antichi, piccole porcellane pregiate, tessuti, libri antichi e storie che si svelano ad ogni scoperta, si respira un'atmosfera unica, fatta di passione e di amore per le cose belle. Il negozio di Laura è molto più di un semplice punto vendita. È un luogo di incontro, dove gli appassionati d'arte possono scambiarsi opinioni e condividere la loro passione…Recanati ha accolto Laura e le ha offerto l'ispirazione e la serenità che cercava, permettendole di coltivare la sua passione per l'antiquariato. Una mattina di luglio, mentre la luce del sole filtrava nel suo negozio, illuminando la vetrina e i suoi tesori, incontriamo Laura spinte dalla curiosità di sempre. L’incontro fu immediato, insieme a Felisia e il caldo dell’estate, noi tre donne ci trovammo a parlare di arte, di passioni e di sogni. Attraverso i miei occhi brillanti, raccontavo delle mie lunghe giornate passate a catturare la luce. Felisia, invece, parlava dei suoi colori, delle sue parole da racchiudere negli scritti che prendevano vita tra immagini e parole in una continua danza. Laura, ascoltava, annuiva, e a sua volta condivideva le sue esperienze, le sue conoscenze sul mondo dell'antiquariato e non solo… Tra un oggetto e l'altro, tra una chiacchiera e l'altra, come se sempre ci fosse stato un filo, si cullavano storie familiari e viaggi ancora da scrivere, attraverso la nascita di un’amicizia improvvisa. Scoprimmo di avere molto in comune, non solo la passione per l'arte, per le nostre origini, ma anche l'amore per la bellezza, per le cose semplici e per la vita fugace. Fu così che Laura ci chiese di pranzare insieme. Ci condusse in una vecchia casa di campagna, un luogo che lei teneva nel cuore, arredata con i pezzi unici che trovava nei suoi viaggi. La casa era un tesoro nascosto, un labirinto di stanze piene di oggetti antichi. Mentre gustammo un pranzo semplice ma delizioso, continuammo a parlare di mare, di terra, di sole e di sogni, di teatro e il suo tempo…
Un intreccio di vite e di legni antichi dove Laura non era sola in questa avventura. Al suo fianco c'era Ivano, un uomo dalle mani d'oro, capace di trasformare un vecchio mobile in un'opera d'arte. La sua specialità erano i piccoli teatri in legno, minuziosi lavori che richiedevano pazienza e maestria. Ogni teatro era un mondo a sé, un palcoscenico dove prendevano vita storie antiche e nuove. In questi teatri c’era anche il famoso burattino di legno, cartapesta e legno, a fare da padrone tra scaffali e vecchi mobili. Mentre Laura si occupava della ricerca e dell'acquisto degli oggetti antichi, Ivano li restaurava e li trasformava, dando loro una nuova vita. La loro casa era un continuo fermento creativo, un luogo dove il passato e il presente si intrecciavano in modo armonico.
Tornando al pranzo, l'atmosfera si fece ancora più intima quando Ivano ci raccontava dei vecchi mercati di antiquariato di una volta, più ricchi e pieni…
quella giornata segnò l'inizio di una bella amicizia. Ci ripromettemmo di incontrarci più spesso, di collaborare insieme, di creare qualcosa di nuovo… così, nel cuore di Recanati.
Il negozio di antiquariato di Laura e l'atelier di Ivano sono un luogo dove si puó respirare l'aria del passato, assaporare la dolcezza del presente e sognare il futuro.
Ogni oggetto antico è un frammento di una storia, un testimone del tempo e proprio come un vecchio mobile restaurato, anche chi passa e si ferma in quel luogo, può sentire quella sensazione di antico e di rinnovamento, l’evolversi e il divenire versioni migliori di noi stessi attraverso il passato come ponte e non solo nostalgia.
La storia di Laura, Ivano, di noi e di chi passa e tocca con lo sguardo ogni istante di tempo, è la dimostrazione che, anche nei tempi più difficili, l'arte e la passione possono aiutarci a trovare la nostra strada e a costruire un futuro migliore.
Ci rincontrammo verso sera, quando la luce era ancora calda, per immortalare in un ritratto i loro volti, suggellare il nostro incontro… sospeso in una clessidra di legno che attendeva il prossimo istante come sabbia del mare.
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le storie della vita
Gùshi, con Brunitos: un equilibrista in viaggio nel tempo, attraverso le emozioni che volano, che si mescolano e si espandono, come le storie della vita
Brunitos (nome d’arte dell’artista argentino Bruno Gagliardini) ci trascina in un vortice di tempo e abilità, unendo la tradizione circense alla contemporaneità con un tocco di magia. Il suo spettacolo è un inno alla relatività del tempo e alla bellezza del movimento circolare, un'esperienza che cattura lo spettatore e lo coinvolge in un viaggio sensoriale unico. Questo meraviglioso artista utilizza la lingua universale del circo per comunicare emozioni profonde, attraverso il suo corpo, agile ed espressivo, ammalia il pubblico, mentre la tecnica raffinata e la costante ricerca sorprendono ad ogni istante. I protagonisti indiscussi dello spettacolo sono i diablos, antichi attrezzi che, nelle mani di Brunitos, prendono vita e raccontano storie millenarie. Assistere ad una sua creazione significa vivere un viaggio sensoriale che immerge lo spettatore in un'atmosfera magica, con un'esibizione che fonde la musica classica con la maestria del diablo. Si percepisce la sua ricerca, il suo lavoro, la sua necessità di donare e ricevere energia, partendo dalla terra, la strada palcoscenico del suo spettacolo. È un inizio suggestivo, che proietta lo spettatore in un mondo sospeso tra sogno e realtà. Seguono momenti unici e inaspettati, con l'introduzione di diablos originali che sfidano le leggi della gravità e dell’immaginazione. Con la sua terra nel cuore, il suo sorriso travolgente Brunitos crea un tango con i Diablos, uno dei momenti più emozionanti dello spettacolo, danza con i suoi attrezzi, crea un dialogo armonioso e sensuale che lascia il pubblico con il naso all’insù. È un'esibizione che unisce la passione del tango alla virtuosità circense, un connubio inaspettato e affascinante. Ogni postura di Brunitos, ogni lancio e ripresa del diablo, è una dimostrazione magistrale dell'equilibrio. L'arte dell’equilibrio che lui regala sembra sfidare le leggi della gravità, mantenendo un controllo perfetto sul proprio corpo e sugli attrezzi. La rotazione dei diablos è un continuo gioco con la forza centrifuga. Brunitos sfrutta questa forza per creare movimenti fluidi e armonici, trasformando la fisica in danza. La gravità è una costante ed oltre ad essere una dimostrazione di abilità fisica, lo spettacolo di Brunitos può essere letto come un'allegoria della vita. L'equilibrio che l'artista cerca di mantenere è una metafora della nostra esistenza, sempre in bilico tra opposti: passato e futuro, gioia e dolore, ordine e caos. La rotazione dei diablos ricorda il ciclo continuo della vita, un eterno ritorno che ci porta a confrontarci sempre con nuove sfide, perchè in fondo ognuno di noi, è alla ricerca di un equilibrio interiore, di una sintesi tra le diverse forze che agiscono su di noi, la sfida alla gravità, così come le sfide della vita, ci permettono di scoprire la nostra fragilità, la nostra forza e la nostra bellezza.
Quanto il nostro equilibrio abbraccia la bellezza e supera gli ostacoli? Brunitos ci invita a riflettere sulla nostra relazione con il mondo fisico, sulla nostra capacità di trovare l'equilibrio e sulla bellezza che nasce dalla sfida.
Tutto in cerchio gira l’energia, si dilata verso il cielo e ritorna ai cuori seduti ad ascoltarlo e ad osservarlo nel gran finale: tre diablos danzano insieme a Brunitos, creando un'immagine di forza e armonia che lascia un segno indelebile nello spettatore. È un momento di grande intensità, che sottolinea l'abilità di questo artista di rendere ogni movimento una proposta poetica e intensa, respirare storie, storie che sono vita, sono il tempo, il tempo relativo alla storia di ognuno…
Brunitos è un artista incantevole, capace di unire la tradizione alla contemporaneità, il corpo alla mente, l'emozione alla tecnica. Una scenografia essenziale, in un luogo che non ha bisogno di presentazioni, la poetica Recanati, dove un gran poeta ci ha regalato sguardi infiniti, e l’infinito si percepisce tra le sfumature della luna che illumina gli occhi di ogni sognatore e di ogni sognatrice, con la gratitudine verso chi, come Brunitos, instancabile cerca di donare bellezza per continuare a sognare…
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Atelier Malicot
date » 11-06-2024 15:07
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Atelier Malicot: un atelier di fotografia unico nel suo genere che ci ha viste ospiti in occasione del primo Festival di fotografia “Photographie de rue à la chambre” nella primavera del 2024
L'Atelier si trova a Sablé-sur-Sarthe, in Francia, nei Paesi della Loira, sulle rive del fiume Erve. Fu costruito nel 1899 da Joseph Malicot (1874-1953) ed è tutt’ora un luogo che conserva tutta la ricchezza della storia della fotografia.
Un atelier di luce blu: composto da tre muri e da una vetrata parallela al fiume dove si odono i suoni della natura, lo scorrere dell’acqua, il canto degli uccelli, fino al suono dell’aria velata che si posa sulle immagini delle stagioni che si susseguono, ha una copertura anch'essa in vetro, dove tutto accade dal cielo con le sue vetrate di colore blu. Usare questo colore per le vetrate, era una scelta in quel periodo comune, poiché si pensava che lasciasse passare più luce del vetro ordinario, un elemento prezioso per i fotografi di quell'epoca in cui i tempi di posa erano molto lunghi.
L'arrivo delle lastre secche al gelatino bromuro d'argento nel 1890 ha reso il vetro blu quasi obsoleto. Tuttavia, alcuni fotografi professionisti hanno continuato a utilizzarlo, forse per tradizione o per distinguersi dalla fotografia amatoriale che si stava sviluppando in quel periodo, e quel colore blu resta la poesia di un luogo incantevole. L'atelier era dotato di tende per controllare la luce in funzione dell'ora del giorno, conteneva anche una varietà di scenografie e accessori per i servizi fotografici, come sedie, poltrone, colonne, poggiatesta, fondali e, naturalmente, macchine fotografiche e telai per le lastre fotografiche.
Un salvataggio e un restauro meticoloso: dopo la morte di Joseph Malicot nel 1953, l'atelier è stato abbandonato. A poco a poco, i vetri si sono rotti, i muri si sono degradati e la vegetazione si è installata. Un albero vicino ha persino iniziato a crescere in modo anarchico, mascherando una parte dell'atelier. Nel 1975, dopo la morte dell'unica figlia del fotografo, il nuovo proprietario ha fatto installare un tetto per proteggere l'edificio dalle intemperie, rallentando così il suo deterioramento. Nel 1986, in occasione della prima mostra dedicata al fotografo saboliano, il materiale rimanente nell'atelier è stato messo in sicurezza. Nel 2007 l'atelier è stato acquisito e sono stati condotti studi sulla possibilità del suo restauro. Se la veranda è stata preservata grazie al tetto installato nel 1975, la struttura che la sorreggeva era troppo corrosa e irrecuperabile. Inoltre, questa struttura si era mossa, causando un cedimento dei muri. Un'analisi è stata affidata ad uno studio specializzato che ha consigliato la realizzazione di un solaio collaborante per garantire una stabilità duratura. Nel 2009 è stato deciso di smontare completamente la veranda e restaurarla. Questo lavoro è stato affidato all'azienda Loubière "la forge d'Art". Parallelamente, la Société Choisnet & Bardoux ha realizzato un cordolo dei muri e la Société Construction métallique Saumuroise ha fabbricato un solaio collaborante. Terminata questa fase, la veranda è stata rimontata e dotata di vetri blu per restituirle il suo aspetto originario.
L'atelier è stato poi affidato all'associazione "Atelier Malicot" per essere riallestito con gli scenari restaurati, ispirandosi a documenti d'epoca (foto scattate nell'atelier da Malicot) e ad opere storiche sull'attività dei fotografi dell'inizio del XX secolo.
L'associazione ha la missione di creare un polo culturale intorno alla figura di Joseph Malicot e al suo atelier. Questo polo culturale avrà l'obiettivo di conservare e mantenere l'atelier fotografico, arricchire il fondo fotografico e far rivivere lo spazio con diverse iniziative, mostre e creazione di residenze d'artista. Doverosa questa piccola panaromica della sua storia, per sottolineare quanto è importante la cura del tempo, quanto la storia di ogni luogo è la nostra storia, quella che ci rende connessi con gli altri, con il passato e con la strada presente che si percorre.
Ed è in questo luogo ricco di memoria che abbiamo avuto l’onore di essere insieme ad altri sognatori di luce e sali d’argento, per poter condividere saperi, arte e tanta, tanta fotografia.
L'Atelier Malicot, immerso nella quieta bellezza di Sablé-sur-Sarthe, custodisce un'anima artistica che attraversa i secoli, luogo magico è stato testimone dell’incanto della fotografia e, negli ultimi anni, si è trasformato in una residenza d'artista, accogliendo creativi e sognatrici. Tra le sue mura cariche di storia, ci siamo immerse nella luce blu che filtra dalla veranda, trovando ispirazione per creare opere che esplorano la poesia della fotografia, a Sablè e nei villaggi vicini.
Con tocco delicato e contemplativo, ci siamo lasciate trasportare dall'atmosfera nostalgica dell'Atelier e attraverso una camera fotografica istantanea, costruita in legno, abbiamo abbracciato la bellezza effimera della luce che si posava tutta intorno, raccontando le piccole storie silenziose dei luoghi e delle persone. Durante la residenza, abbiamo avuto l'opportunità di confrontarci con altri artisti, di condividere le nostre esperienze, il mio percorso di fotografa, quello personale di Felisia attraverso la cura del progetto, e di arricchire il nostro percorso professionale e creativo. L'Atelier si è trasformato in un luogo di scambio e di crescita, dove la passione per l'arte ha creato un legame profondo. Ogni fotografia realizzata durante la residenza è stata un omaggio alla bellezza della fotografia e alla sua capacità di catturare l'essenza del tempo e della memoria, soprattutto un ritorno non solo nostalgico, ma necessario, alla fotografia nella sua essenza, fatta di apparecchiature che diventano tutt’uno con la creatività e il bisogno di raccontare, la carta tra le mani, il bianco e nero, l’odore dei liquidi e la meraviglia dell’immagine latente…
Ho amato tutto
date » 06-04-2024 10:10
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Cinquemila 𝚔𝚖 𝚙𝚎𝚛𝚌𝚘𝚛𝚜𝚒, 𝚝𝚞𝚖𝚞𝚕𝚝𝚘 𝚍𝚒 𝚎𝚖𝚘𝚣𝚒𝚘𝚗𝚒, 𝚌𝚎𝚗𝚝𝚒𝚗𝚊𝚒𝚊 𝚍𝚒 𝚟𝚘𝚕𝚝𝚒, 𝚜𝚏𝚒𝚘𝚛𝚊𝚝𝚒, 𝚊𝚜𝚌𝚘𝚕𝚝𝚊𝚝𝚒, 𝚙𝚎𝚛𝚜𝚒. 𝙸𝚕 𝚏𝚒𝚞𝚖𝚎, 𝚒𝚕 𝚜𝚞𝚘 𝚜𝚌𝚘𝚛𝚛𝚎𝚛𝚎, 𝚒 𝚜𝚞𝚘𝚒 𝚙𝚘𝚗𝚝𝚒, 𝚒𝚕 𝚝𝚎𝚖𝚙𝚘. 𝙻𝚎 𝚟𝚎𝚝𝚛𝚊𝚝𝚎, 𝚕𝚊 𝚕𝚞𝚌𝚎, 𝚒𝚕 𝚋𝚕𝚞 𝚎 𝚒𝚕 𝚐𝚒𝚊𝚕𝚕𝚘, 𝚒𝚕 𝚙𝚊𝚜𝚜𝚊𝚝𝚘, 𝚕𝚊 𝚜𝚝𝚘𝚛𝚒𝚊, 𝚕’𝟾𝟶𝟶, 𝚕𝚊 𝚏𝚘𝚝𝚘𝚐𝚛𝚊𝚏𝚒𝚊, 𝚒𝚕 𝚙𝚛𝚎𝚜𝚎𝚗𝚝𝚎... 𝙿𝚊𝚛𝚘𝚕𝚎, 𝚟𝚘𝚌𝚒, 𝚜𝚒𝚕𝚎𝚗𝚣𝚒. 𝙸𝚗𝚏𝚒𝚗𝚒𝚝𝚒 𝚙𝚊𝚎𝚜𝚊𝚐𝚐𝚒, 𝚍𝚎𝚝𝚝𝚊𝚐𝚕𝚒, 𝚌𝚒𝚎𝚕𝚒, 𝚌𝚘𝚕𝚘𝚛𝚒, 𝚘𝚖𝚋𝚛𝚎, 𝚜𝚝𝚛𝚊𝚍𝚎, 𝚌𝚞𝚛𝚟𝚎, 𝚍𝚒𝚜𝚌𝚎𝚜𝚎, 𝚜𝚊𝚕𝚒𝚝𝚎... 𝚊𝚕𝚋𝚎𝚛𝚒, 𝚚𝚞𝚊𝚗𝚝𝚒 𝚊𝚕𝚋𝚎𝚛𝚒, 𝚒𝚕 𝚟𝚎𝚛𝚍𝚎, 𝚒 𝚏𝚒𝚘𝚛𝚒, 𝚕’𝚊𝚌𝚚𝚞𝚊, 𝚒 𝚜𝚞𝚘𝚗𝚒, 𝚒𝚕 𝚟𝚎𝚗𝚝𝚘, 𝚕𝚊 𝚙𝚒𝚘𝚐𝚐𝚒𝚊, 𝚚𝚞𝚊𝚗𝚝𝚊 𝚙𝚒𝚘𝚐𝚐𝚒𝚊, 𝚒𝚕 𝚟𝚎𝚗𝚝𝚘, 𝚚𝚞𝚊𝚗𝚝𝚘 𝚟𝚎𝚗𝚝𝚘... 𝚕’𝚊𝚝𝚝𝚎𝚜𝚊 𝚎 𝚒𝚕 𝚜𝚘𝚕𝚎, 𝚒𝚕 𝚜𝚘𝚕𝚎, 𝚐𝚘𝚌𝚌𝚎, 𝚕𝚊 𝚌𝚕𝚎𝚜𝚜𝚒𝚍𝚛𝚊, 𝚒 𝚛𝚒𝚏𝚕𝚎𝚜𝚜𝚒, 𝚕𝚘 𝚜𝚙𝚎𝚌𝚌𝚑𝚒𝚘. 𝙸𝚕 𝚏𝚕𝚊𝚗, 𝚒𝚕 𝚟𝚒𝚗𝚘, 𝚒𝚕 𝚌𝚊𝚏𝚏𝚎̀ 𝚕𝚘𝚞𝚗𝚐𝚎, 𝚕𝚊 𝚌𝚊𝚛𝚝𝚊 𝚊𝚛𝚐𝚎𝚗𝚝𝚒𝚌𝚊, 𝚒𝚕 𝚝𝚊𝚌𝚌𝚞𝚒𝚗𝚘. 𝙴 𝙿𝚊𝚛𝚒𝚐𝚒, 𝚕𝚎 𝚋𝚊𝚐𝚞𝚎𝚝𝚝𝚎, 𝚒 𝚝𝚎𝚝𝚝𝚒, 𝚕𝚊 𝚖𝚞𝚜𝚒𝚌𝚊, 𝚕𝚎 𝚌𝚘𝚛𝚗𝚒𝚌𝚒, 𝚕𝚊 𝚝𝚘𝚛𝚛𝚎... 𝚎 𝚚𝚞𝚎𝚕 𝚖𝚊𝚝𝚝𝚒𝚗𝚘, 𝚒𝚕 𝚛𝚒𝚜𝚟𝚎𝚐𝚕𝚒𝚘... 𝚎 𝚍𝚒 𝚗𝚞𝚘𝚟𝚘 𝚊𝚣𝚣𝚞𝚛𝚛𝚘, 𝚕𝚊𝚟𝚊𝚗𝚍𝚊, 𝚕𝚊 𝚕𝚘𝚌𝚊𝚗𝚍𝚊, 𝚅𝚒𝚗𝚌𝚎𝚗𝚝, 𝚕𝚎 𝚘𝚕𝚒𝚟𝚎, 𝚒𝚕 𝚋𝚛𝚘𝚌𝚊𝚗𝚝𝚎, 𝚕𝚎 𝚜𝚝𝚘𝚛𝚒𝚎... 𝚕𝚎 𝚙𝚊𝚞𝚛𝚎, 𝚕𝚎 𝚕𝚊𝚌𝚛𝚒𝚖𝚎, 𝚒 𝚍𝚎𝚜𝚒𝚍𝚎𝚛𝚒, 𝚕𝚎 𝚏𝚎𝚛𝚒𝚝𝚎, 𝚕𝚊 𝚌𝚞𝚛𝚊...
Ora ho 𝚋𝚒𝚜𝚘𝚐𝚗𝚘 𝚍𝚒 𝚏𝚎𝚛𝚖𝚊𝚛𝚖𝚒, 𝚍𝚎𝚌𝚊𝚗𝚝𝚊𝚛𝚎, 𝚌𝚊𝚙𝚒𝚛𝚎, 𝚙𝚛𝚘𝚝𝚎𝚐𝚐𝚎𝚛𝚖𝚒… 𝚝𝚛𝚘𝚟𝚘 𝚕𝚎 𝚙𝚊𝚛𝚘𝚕𝚎, 𝚙𝚛𝚘𝚟𝚘 𝚊 𝚕𝚎𝚐𝚐𝚎𝚛𝚎, 𝚙𝚛𝚘𝚟𝚎𝚛𝚘̀ 𝚊 𝚜𝚌𝚛𝚒𝚟𝚎𝚛𝚎... 𝙶𝚛𝚊𝚣𝚒𝚎 𝚙𝚒𝚌𝚌𝚘𝚕𝚘 𝚌𝚞𝚘𝚛𝚎 𝚏𝚛𝚊𝚗𝚌𝚎𝚜𝚎, 𝚐𝚛𝚊𝚣𝚒𝚎 𝚙𝚒𝚌𝚌𝚘𝚕𝚘 𝚌𝚞𝚘𝚛𝚎 𝚒𝚝𝚊𝚕𝚒𝚊𝚗𝚘. 𝚃𝚞𝚝𝚝𝚘 𝚎̀ 𝚏𝚛𝚊𝚐𝚒𝚕𝚎, 𝚗𝚘𝚗 𝚎𝚜𝚒𝚜𝚝𝚎 𝚐𝚒𝚞𝚜𝚝𝚒𝚣𝚒𝚊, 𝚖𝚊 𝚌𝚎𝚛𝚌𝚘 𝚋𝚎𝚕𝚕𝚎𝚣𝚣𝚊, 𝚑𝚘 𝚒𝚕 𝚍𝚘𝚟𝚎𝚛𝚎 𝚍𝚒 𝚟𝚒𝚟𝚎𝚛𝚎 𝚎 𝚍𝚒 𝚟𝚒𝚟𝚎𝚛𝚕𝚊, 𝚎𝚜𝚜𝚎𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚐𝚗𝚊. L'amore dona energie per vivere tutto, non le annienta per non vivere nulla.
𝙼𝚒 𝚏𝚎𝚛𝚖𝚘 𝚊𝚍 𝚊𝚜𝚌𝚘𝚕𝚝𝚊𝚛𝚎 𝚕’𝚊𝚌𝚚𝚞𝚊, 𝚕𝚎 𝚌𝚑𝚒𝚎𝚍𝚎𝚛𝚘̀ come, 𝚚𝚞𝚎𝚕 𝚌𝚑𝚎 𝚟𝚘𝚛𝚛𝚎𝚒 𝚎̀ 𝚜𝚘𝚕𝚘 𝚙𝚎𝚛𝚍𝚘𝚗𝚊𝚛𝚖𝚒… e avere pace, perché so solo amare.
aprile 2024
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argento
date » 02-02-2024 18:35
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𝙳𝚊𝚕𝚕𝚊 𝚏𝚒𝚗𝚎𝚜𝚝𝚛𝚊 𝚍𝚒 𝚌𝚊𝚜𝚊, 𝚕𝚊 𝚕𝚞𝚌𝚎 𝚊𝚗𝚗𝚞𝚗𝚌𝚒𝚊 𝚒𝚕 𝚖𝚊𝚝𝚝𝚒𝚗𝚘.
𝚂𝚒 𝚙𝚛𝚎𝚙𝚊𝚛𝚊𝚗𝚘 𝚒 𝚕𝚒𝚚𝚞𝚒𝚍𝚒 𝚙𝚎𝚛 𝚕𝚘 𝚜𝚟𝚒𝚕𝚞𝚙𝚙𝚘, 𝚜𝚒 𝚜𝚒𝚜𝚝𝚎𝚖𝚊 𝚕𝚊 𝚌𝚊𝚛𝚝𝚊 𝚎 𝚕𝚊 𝚌𝚕𝚎𝚜𝚜𝚒𝚍𝚛𝚊, 𝚜𝚒 𝚙𝚘𝚜𝚊 𝚕𝚊 𝚜𝚌𝚊𝚝𝚘𝚕𝚊 𝚍𝚒 𝚕𝚎𝚐𝚗𝚘 𝚗𝚎𝚕𝚕𝚊 𝚜𝚞𝚊 𝚋𝚘𝚛𝚜𝚊 𝚊𝚙𝚙𝚎𝚗𝚊 𝚌𝚞𝚌𝚒𝚝𝚊. 𝙽𝚎𝚕 𝚌𝚞𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚒 𝚞𝚗 𝚙𝚊𝚛𝚌𝚘 𝚒𝚗𝚘𝚗𝚍𝚊𝚝𝚘 𝚍𝚒 𝚜𝚘𝚕𝚎, 𝚜𝚒 𝚎𝚛𝚐𝚎 𝚖𝚊𝚎𝚜𝚝𝚘𝚜𝚊 𝚞𝚗𝚊 𝚜𝚎𝚛𝚛𝚊 𝚍𝚒 𝚟𝚎𝚝𝚛𝚘 𝚎 𝚖𝚎𝚝𝚊𝚕𝚕𝚘, 𝚞𝚗 𝚕𝚞𝚘𝚐𝚘 𝚍𝚘𝚟𝚎 𝚕𝚊 𝚌𝚛𝚎𝚊𝚝𝚒𝚟𝚒𝚝𝚊̀ 𝚎 𝚕𝚊 𝚋𝚎𝚕𝚕𝚎𝚣𝚣𝚊 𝚜𝚒 𝚏𝚘𝚗𝚍𝚘𝚗𝚘 𝚒𝚗 𝚞𝚗 𝚒𝚗𝚌𝚊𝚗𝚝𝚎𝚟𝚘𝚕𝚎 𝚊𝚋𝚋𝚛𝚊𝚌𝚌𝚒𝚘. 𝚀𝚞𝚒, 𝚝𝚛𝚊 𝚒𝚕 𝚝𝚒𝚗𝚝𝚒𝚗𝚗𝚒𝚘 𝚍𝚒 𝚙𝚒𝚌𝚌𝚘𝚕𝚒 𝚟𝚘𝚕𝚊𝚝𝚒𝚕𝚒, 𝚒 𝚐𝚒𝚘𝚌𝚑𝚒 𝚍𝚒 𝚕𝚞𝚌𝚎 𝚎 𝚟𝚎𝚗𝚝𝚘 𝚕𝚒𝚎𝚟𝚎 𝚝𝚛𝚊 𝚒𝚕 𝚜𝚊𝚕𝚒𝚌𝚎 𝚙𝚒𝚊𝚗𝚐𝚎𝚗𝚝𝚎 𝚎 𝚕'𝚘𝚍𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚒 𝚙𝚒𝚊𝚗𝚝𝚎 𝚛𝚒𝚐𝚘𝚐𝚕𝚒𝚘𝚜𝚎, 𝚜𝚒𝚜𝚝𝚎𝚖𝚒𝚊𝚖𝚘 𝚕𝚊 𝚕𝚊 𝚝𝚎𝚛𝚗𝚊 𝚖𝚊𝚐𝚒𝚌𝚊. 𝚁𝚒𝚝𝚛𝚊𝚝𝚝𝚒 𝚜𝚒 𝚊𝚗𝚒𝚖𝚊𝚗𝚘, 𝚎𝚜𝚙𝚛𝚎𝚜𝚜𝚒𝚘𝚗𝚒 𝚜𝚒 𝚏𝚊𝚗𝚗𝚘 𝚌𝚊𝚗𝚝𝚒 𝚜𝚒𝚕𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚜𝚒. 𝙲𝚘𝚗 𝚕'𝚊𝚛𝚐𝚎𝚗𝚝𝚘 𝚜𝚒 𝚏𝚘𝚛𝚖𝚊𝚗𝚘 𝚕𝚎 𝚜𝚏𝚞𝚖𝚊𝚝𝚞𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕'𝚎𝚜𝚒𝚜𝚝𝚎𝚗𝚣𝚊. 𝙲𝚘𝚗 𝚖𝚊𝚗𝚘 𝚍𝚎𝚕𝚒𝚌𝚊𝚝𝚊 𝚎 𝚘𝚌𝚌𝚑𝚒𝚘 𝚊𝚝𝚝𝚎𝚗𝚝𝚘, 𝚜𝚒 𝚜𝚌𝚛𝚞𝚝𝚊 𝚗𝚎𝚕𝚕'𝚒𝚗𝚝𝚒𝚖𝚘 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚎 𝚙𝚎𝚛𝚜𝚘𝚗𝚎, 𝚒𝚗 𝚚𝚞𝚎𝚕𝚕𝚎 𝚌𝚑𝚎 𝚜𝚒 𝚍𝚘𝚗𝚊𝚗𝚘, 𝚜𝚒 𝚙𝚘𝚗𝚐𝚘𝚗𝚘 𝚍𝚘𝚖𝚊𝚗𝚍𝚎, 𝚛𝚒𝚟𝚎𝚕𝚊𝚗𝚍𝚘 𝚕𝚊 𝚌𝚘𝚖𝚙𝚕𝚎𝚜𝚜𝚒𝚝𝚊̀ 𝚎 𝚕𝚊 𝚋𝚎𝚕𝚕𝚎𝚣𝚣𝚊 𝚗𝚊𝚜𝚌𝚘𝚜𝚝𝚊 𝚍𝚒 𝚘𝚐𝚗𝚒 𝚒𝚗𝚍𝚒𝚟𝚒𝚍𝚞𝚘. 𝚄𝚗 𝚜𝚘𝚛𝚛𝚒𝚜𝚘, 𝚞𝚗𝚊 𝚕𝚊𝚌𝚛𝚒𝚖𝚊, 𝚞𝚗'𝚘𝚖𝚋𝚛𝚊 𝚍𝚒 𝚖𝚊𝚕𝚒𝚗𝚌𝚘𝚗𝚒𝚊...𝙻𝚊 𝚜𝚎𝚛𝚛𝚊, 𝚌𝚘𝚗 𝚕𝚎 𝚜𝚞𝚎 𝚙𝚊𝚛𝚎𝚝𝚒 𝚝𝚛𝚊𝚜𝚙𝚊𝚛𝚎𝚗𝚝𝚒, 𝚍𝚒𝚟𝚎𝚗𝚝𝚊 𝚞𝚗 𝚌𝚘𝚗𝚏𝚎𝚜𝚜𝚒𝚘𝚗𝚊𝚕𝚎 𝚖𝚘𝚍𝚎𝚛𝚗𝚘 𝚒𝚗 𝚌𝚞𝚒 𝚜𝚒 𝚌𝚎𝚕𝚊𝚗𝚘 𝚜𝚝𝚘𝚛𝚒𝚎, 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚒 𝚎 𝚍𝚎𝚜𝚒𝚍𝚎𝚛𝚒. 𝙻𝚞𝚌𝚎 𝚜𝚘𝚕𝚊𝚛𝚎 𝚏𝚒𝚕𝚝𝚛𝚊 𝚊𝚝𝚝𝚛𝚊𝚟𝚎𝚛𝚜𝚘 𝚘𝚐𝚗𝚒 𝚏𝚎𝚗𝚍𝚒𝚝𝚞𝚛𝚊, 𝚝𝚒𝚗𝚐𝚎𝚗𝚍𝚘 𝚐𝚕𝚒 𝚜𝚌𝚊𝚝𝚝𝚒 𝚍𝚒 𝚌𝚊𝚕𝚍𝚎 𝚜𝚏𝚞𝚖𝚊𝚝𝚞𝚛𝚎 𝚍𝚘𝚛𝚊𝚝𝚎. 𝙻𝚎 𝚏𝚘𝚝𝚘𝚐𝚛𝚊𝚏𝚒𝚎 𝚜𝚒 𝚝𝚒𝚗𝚐𝚘𝚗𝚘 𝚌𝚘𝚜𝚒̀ 𝚍𝚒 𝚞𝚗𝚊 𝚟𝚎𝚜𝚝𝚎 𝚙𝚘𝚎𝚝𝚒𝚌𝚊...
𝙰𝚌𝚌𝚊𝚍𝚎, 𝚚𝚞𝚒.
𝙾𝚛𝚊
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Peppe Barra e la Cantata dei Pastori
𝘜𝘯𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘢 𝘕𝘢𝘱𝘰𝘭𝘪,
𝘱𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦̀ “.... 𝘚𝘦 𝘴𝘦𝘪 𝘵𝘳𝘪𝘴𝘵𝘦, 𝘮𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘦𝘳𝘷𝘪 𝘭𝘢 𝘧𝘰𝘳𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘷𝘢𝘳𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘴𝘰𝘨𝘭𝘪𝘢, 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘤𝘪𝘵𝘵𝘢̀ 𝘵𝘳𝘰𝘷𝘪 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦 𝘶𝘯 𝘭𝘶𝘰𝘨𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘵𝘪 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘱𝘱𝘢 𝘢 𝘵𝘦 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘰, 𝘤𝘩𝘦 𝘵𝘪 𝘵𝘳𝘢𝘴𝘤𝘪𝘯𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢. 𝘚𝘦 𝘢𝘮𝘪 𝘕𝘢𝘱𝘰𝘭𝘪, 𝘴𝘢𝘪 𝘥𝘰𝘷𝘦 𝘢𝘯𝘥𝘢𝘳𝘦. 𝘌 𝘭𝘢 𝘤𝘪𝘵𝘵𝘢̀ 𝘵𝘪 𝘢𝘤𝘤𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦, 𝘵𝘪 𝘴𝘰𝘳𝘳𝘦𝘨𝘨𝘦 𝘦 𝘵𝘪 𝘱𝘢𝘳𝘭𝘢.”
Il suo volto: ogni espressione sussurrata, cantata, silente o marcata, disegna la sua anima che sgorga in ogni istante della sua interpretazione. Peppe Barra non è semplicemente un attore, le venature e gli intrecci di ogni sua parola sono l’essenza del teatro che prende vita nell’istante stesso che il suo corpo attraversa lo spazio, quello del palcoscenico della vita, reale, immaginata e sognata. Peppe Barra è un eclettico artista noto per le sue straordinarie capacità nel campo dell'arte e del teatro. La sua carriera poliedrica abbraccia la recitazione, la musica, la scrittura, creando un impatto significativo sulla scena artistica italiana. Il suo stile unico e la profonda connessione con la cultura napoletana emergono attraverso le sue opere, trasportando il pubblico in un viaggio emozionale e culturale. La sua presenza scenica vibrante e la capacità di mescolare tradizione e innovazione lo rendono un'icona indiscussa.
La "Cantata dei Pastori" è una rappresentazione teatrale popolare napoletana che ha radici antiche, Peppe Barra ha contribuito in modo significativo a mantenere viva questa tradizione attraverso la sua partecipazione a varie produzioni della Cantata dei Pastori. Questa forma teatrale è spesso associata alla tradizione natalizia e narra la storia della Natività con un tocco folkloristico e comico. Peppe Barra, con la sua presenza carismatica e la conoscenza approfondita delle tradizioni napoletane, ha portato la sua interpretazione unica a questo genere teatrale, contribuendo a preservare e trasmettere questa forma d'arte che affonda le radici nella cultura popolare della Campania. Nella cornice del teatro Trianon, Barra che incarna da cinquant’anni il pulcinellesco Razzullo, scrivano partenopeo inviato dall’imperatore a Betlemme per il censimento delle nascite, insieme alla straordinaria Lalla Esposito nel ruolo di Sarchiapone, il bizzarro personaggio fisicamente deforme che pratica l’arte dell’arrangiarsi, regalano uno spettacolo che si vive tutto di un fiato tra dolce malinconia e riso. Si dimentica per un istante qualsiasi briciola d’odio di questi tempi bui, le guerre si rifiutano e non appartengono a questo momento velato e protetto, vibra solo l’amore, solo l’amore.
La magia dell'arte di Peppe Barra risiede nella sua straordinaria capacità di emozionare il pubblico come pochi sanno fare. Attraverso la sua interpretazione teatrale questo meraviglioso artista crea un connubio unico di tradizione e innovazione che tocca il cuore come pochi sanno fare. La sua autenticità nell'esprimere le ricchezze della cultura napoletana, unita a una presenza scenica carismatica, trasforma ogni performance in un'esperienza coinvolgente e indimenticabile. Peppe Barra ha il dono di trasmettere emozioni profonde, unendo passione e maestria artistica per creare un impatto duraturo che va oltre il palcoscenico. La sua arte, ricca di sfumature e autenticità, continua a emozionare il pubblico, confermando il suo status di icona nelle arti e nel teatro.
Una serata unica nel cuore di Napoli, in un dicembre caldo dove ogni angolo del Teatro Trianon, diventa luogo di connessione tra il maestro e il cuore di tutti e tutte, creando ricordi indelebili che continueranno a nutrire passione per l'arte nel corso della vita, che altro non è che un palcoscenico infinito…
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