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Paris Photo 2024

date » 13-11-2024 16:46

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𝙏𝙖𝙘𝙘𝙪𝙞𝙣𝙤 - 𝙖𝙥𝙥𝙪𝙣𝙩𝙞 𝙨𝙥𝙖𝙧𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝙪𝙣 𝙙𝙞𝙖𝙧𝙞𝙤 𝙨𝙜𝙪𝙖𝙡𝙘𝙞𝙩𝙤
• su Paris Photo 2024

"L'aria è infetta dal puzzo di fotografia"
Robert Frank

nota: Il Grand Palais, con la sua maestosa architettura, ha nuovamente ospitato un evento che consacra Parigi come capitale indiscussa della fotografia. Paris Photo 2024, con la sua selezione curata di opere e la sua atmosfera vibrante, si è rivelata un'esperienza coinvolgente per appassionati, collezionisti e critici.

Luogo dove immergersi, perdersi e trovarsi con e senza fotografia, dove poter comprendere e non la fotografia.
La parte dedicata ai libri fotografici è quella più stimolante, la fotografia diventa narrazione godibile su carta, e nel modo più accurato possibile, quasi sempre.
Cosa ha colpito il mio sguardo, tratti brevi, il tempo non è mai abbastanza, come sorseggiare per la prima volta un buon vino, hai necessita di ritornare e decantare. La folla distrae, tante opere ammiccanti, gallerie vestite a dovere, fotografe e fotografi in cornice, evocano, parlano, dicono di tutto.


Camminare nella folla, alla deriva provare ad osservare.
Con la filosofia della flânerie, lasciandosi “andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono”.


Sander, 169 ritratti in bianco e nero, un vero monumento.
La galleria tedesca, con le sue radici profondamente ancorate a Colonia, fa un'entrata scenografica alla fiera, occupando l'attenzione con uno stand monumentale. Un'unica parete, che si estende per oltre dieci metri, è interamente dedicata a un'opera colossale: il "magnum opus" di August Sander, "People of the 20th Century".
Julian Sander, gallerista e pronipote dell'iconico fotografo, ha scelto di presentare al pubblico europeo, per la prima volta in questa forma completa, un affresco visivo senza precedenti della società del Novecento. 619 ritratti in bianco e nero, stampe alla gelatina d'argento realizzate negli anni '90 a partire dai negativi originali, ci offrono un'istantanea di un'epoca, catturando uomini e donne nelle loro vesti quotidiane, nei loro ruoli sociali. Un mosaico umano che abbraccia l'intera gamma delle classi sociali, dai più umili ai più elevati, in un'indagine antropologica che non ha eguali.
Con questo ambizioso progetto, Sander non si limita a ritrarre individui, ma ci offre un'analisi profonda della società del suo tempo. Come affermava lo stesso Sander, l'obiettivo era quello di "dare la vera psicologia del nostro tempo e delle nostre persone”.
Ogni volto, ogni posa, ogni sguardo sono un frammento di un puzzle più grande, un tentativo di svelare la "vera psicologia" di un'epoca in rapida evoluzione.

Monitor ci immerge nel mondo di Elisa Montessori, un labirinto visivo dove natura e arte si intrecciano. Al centro, un libro-opera, un erbario infinito di acquerelli ibridi. Alle pareti, collage poetici che giocano con presenza e assenza. L'opera '14142 x 14142 = 2, square meters of art' è un manifesto di questa ricerca: un campo di erba, reale e immaginario, dove il vuoto stesso diventa forma. Un'ontologia visiva che trasforma lo spazio, un'azione poetica che riscrive il mondo."
"Nel bianco e nero dei collage degli anni '70, Elisa Montessori intreccia un dialogo serrato tra fotografia e disegno. Le immagini, catturate dall'obiettivo, si confrontano con il tratto deciso della matita, in un gioco di sovrapposizioni e tensioni. Il modulo quadrato, come una griglia che scandisce lo spazio, diventa il contenitore di questa dialettica, dove il reale e l'astratto si fondono in un'unica, complessa visione. La Montessori, con questa sperimentazione, ci invita a riflettere sul ruolo della fotografia nell'arte contemporanea, e sul potere del segno manuale di riappropriarsi di un medium spesso considerato oggettivo e distaccato."

𝙰𝚛𝚌𝚑𝚒𝚟𝚒𝚘 𝙿𝚎́𝚎𝚛𝚎𝚣 & 𝙲𝚊𝚕𝚕𝚎, 𝚚𝚞𝚊𝚕𝚌𝚘𝚜𝚊 𝚍𝚒 𝚖𝚎𝚛𝚊𝚟𝚒𝚐𝚕𝚒𝚘𝚜𝚘.
l'Archivos Pérez & Calle di Bogotá ci invita in un viaggio intimo attraverso la fotografia. Julio Pérez, un collezionista appassionato, ci apre le porte del suo archivio personale. Senza etichette, né sito web, l'esperienza è quasi tattile. Tra le pagine ingiallite, ritratti di icone come Brigid Berlin si mescolano a polaroid "post mortem" e a scatti di artisti colombiani meno noti. Piccoli album, oggetti trovati e "photo sculpture" completano questo mosaico di immagini e ricordi, un invito a perdersi in un mondo fatto di scoperte casuali.
L'Archivos Pérez & Calle di Bogotá è un'isola nel mare di Paris Photo, lontano dai circuiti tradizionali dell'arte, offre un'esperienza autentica. Tra le sue pagine, un tesoro di immagini: polaroid, ritratti, fotomontaggi. Ogni opera è un frammento di una storia, un testimone di un'epoca. Un luogo dove l'arte incontra la vita, e dove il collezionista diventa narratore.
Dai colombiani Maria Cristina Cortés, Manolo Vellojin poi Brigid Berlin, amica storia di Andy Warhol che lo ha introdotto alla Polaroid, si prosegue con delle “post mortem polaroid”, una serie di “foto brut” di Pepe Gaitán e di Emma Reyes, artista colombiana che ha vissuto per anni in Francia e di cui hanno dei lavori corredati delle lettere che mandava al suo gallerista di allora. Si arriva infine a piccoli album, oggetti da collezione legati alla fotografia, delle “photo sculpture” come si dice in America Latina, fotografie di persone perfettamente ritagliate e poste su delle strutture di legno che seguono quella stessa sagoma, un kitsch adorabile

Per il terzo anno consecutivo, Alberto Damian torna alla sezione principale di Paris Photo, portando con sé un'installazione che, come sempre, avvolge lo spettatore in un'atmosfera sospesa, dominata dai toni del grigio. In questo spazio intimo e raccolto, la fotografia in bianco e nero diventa protagonista assoluta, dando voce a quattro grandi maestri italiani: Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Marialba Russo e Franco Zecchin (firmata copie per l'occasione, sorridendo stanco).
Tra le opere esposte, spiccano due scatti di Letizia Battaglia che ritraggono un evento tragico, la morte del sindaco Vito Lipari, vittima della mafia. L'immagine scelta da Jim Jarmusch per la campagna di Elle x Paris Photo, "The ball. New Years’ Eve Party at Villa Airoldi", contrasta nettamente con la cruda realtà del funerale, catturato dall'obiettivo della fotografa siciliana.
Quest'ultima, in particolare, presenta due istantanee di un medesimo istante, ma da prospettive radicalmente diverse. Da un lato, il corpo senza vita di Lipari giace riverso a terra, in una posa che rimanda al Cristo Morto di Mantegna, ma capovolta e profanata. La chiazza di sangue, resa quasi sacra dal bianco e nero, crea un contrasto stridente con la violenza dell'atto. Dall'altro lato, lo stesso momento è documentato da Franco Zecchin, che inquadra la scena da una diversa angolazione, focalizzando l'attenzione sui fotografi accorsi sul luogo del delitto, tra cui la stessa Battaglia, accovacciata e apparentemente sconvolta.
Le due immagini, poste a confronto, creano un dialogo intenso e perturbante, invitando lo spettatore a riflettere sulla natura della violenza, sulla fragilità della vita e sulla potenza della fotografia come strumento di denuncia e di memoria. Damian, con la sua curatela attenta e raffinata, ci offre un'esperienza visiva coinvolgente, che trascende i confini della semplice documentazione, per addentrarsi nei territori più profondi dell'animo umano."

Mi è bastata un’unica fotografia (accade con i grandi artisti…) a farmi capire che faceva parte di un racconto interessantissimo e pieno di vita. Nel cuore pulsante della città che non dorme mai, un'oasi di resistenza. Il Tenderloin, quartiere leggendario di San Francisco, si erge come baluardo contro le spinte omogeneizzanti della gentrificazione, conservando un'anima autentica e ribelle. Un tempo rifugio di bordelli, sale da gioco e locali jazz, oggi è un crocevia di storie e di vite ai margini. Le fotografie di Pieter Hugo, in mostra alla galleria di Jonathan Carver Moore, catturano l'anima di questo quartiere, svelando la dignità e la forza di coloro che lo abitano. I volti ritratti sono più che semplici immagini: sono testimonianze di una lotta quotidiana per la sopravvivenza, ma anche di una straordinaria capacità di resilienza.""Un'opera di luce e ombra, un inno alla diversità. Le fotografie di Pieter Hugo ci conducono nel cuore del Tenderloin, un quartiere che sembra uscito da un dipinto di Caravaggio. I contrasti sono forti, le emozioni intense: la luce cruda che inonda le strade, le ombre che si allungano sui volti segnati dalla vita, i colori sgargianti che emergono dalla monotonia. Hugo, con la sua maestria, trasforma la realtà in arte, elevando i soggetti ai ranghi di icone contemporanee.I suoi ritratti non sono semplici istantanee, ma il frutto di un'interazione intensa, di uno scambio di sguardi e di emozioni. Attraverso l'obiettivo, Hugo ci offre uno sguardo intimo e commovente sulla condizione umana, invitandoci a riflettere sul valore di ogni individuo."

Yamamoto Kansuke: Sognando oltre la realtà
Nelle profondità dell'anima giapponese, dove la tradizione ancestrale si intreccia con le avanguardie artistiche del Novecento, emerge la figura enigmatica di Kansuke Yamamoto. Fotografo, poeta, visionario, la sua opera è un caleidoscopio di immagini che trascendono la mera rappresentazione della realtà, per addentrarsi in un mondo onirico e surreale.
Nato ad Aichi nel 1914, Yamamoto fu fin da giovane affascinato dalle parole e dalle immagini. La sua formazione letteraria, unita alla scoperta della fotografia, lo condusse verso una sperimentazione artistica senza precedenti. Le sue prime opere, realizzate negli anni '30, sono già un manifesto della sua poetica: oggetti comuni trasformati in enigmi visivi, nature morte che pulsano di vita, ritratti che indagano le profondità dell'animo umano.
Yamamoto è stato uno dei pionieri del Surrealismo in Giappone, un movimento che lo ha profondamente ispirato. Le sue fotografie, spesso realizzate con tecniche innovative come il collage e il fotomontaggio, sono un invito a esplorare l'inconscio, a svelare le contraddizioni e le inquietudini che animano l'uomo contemporaneo.
Ma l'opera di Yamamoto non si limita alla fotografia. Pittura, scultura, teatro visivo: sono solo alcune delle discipline che ha esplorato con la stessa passione e originalità. In ogni sua creazione, emerge una sensibilità unica, capace di coniugare l'estetica giapponese con le avanguardie europee.
Le sue opere sono un invito a perdersi in un labirinto di significati, a decifrare i simboli e le metafore che popolano il suo immaginario. Sono un omaggio alla bellezza, ma anche una riflessione profonda sulla condizione umana, sulla fragilità dell'esistenza e sul potere dell'immaginazione.
Un'eredità indelebile
L'opera di Yamamoto Kansuke continua a esercitare un fascino irresistibile su critici e appassionati d'arte. Le sue fotografie, esposte in prestigiose istituzioni museali in tutto il mondo, sono un patrimonio inestimabile per la storia dell'arte del XX secolo.
Yamamoto ci ha lasciato un'eredità straordinaria: un invito a guardare al mondo con occhi nuovi, a scoprire la poesia nascosta nelle cose più semplici, a sognare oltre la realtà.

François Bucher, maestro del gioco tra realtà e finzione, ci invita in un labirinto urbano dove il tempo si dilata, si contrae e si ripiega su se stesso. Nelle sue opere, la città, con le sue pulsazioni quotidiane e i suoi angoli più nascosti, diventa un palcoscenico su cui si mettono in scena complesse riflessioni sulla natura del tempo, della memoria e dell'identità.
A metà degli anni Novanta, Bucher rivolge il suo sguardo verso le arterie pulsanti della città, catturando frammenti di quotidianità che si trasformano, nelle sue mani, in poetiche meditazioni. Le sue installazioni, come "I Giocatori" o "Autentiche Imitazioni di Repliche Genuine", sono veri e propri labirinti visivi, dove il reale si mescola all'immaginario, e dove il gioco diventa uno strumento per svelare le molteplici sfaccettature della realtà.
Un elemento ricorrente nelle opere di Bucher è la manipolazione del tempo. Attraverso sovrapposizioni di immagini, giochi di specchi e installazioni interattive, l'artista ci invita a riflettere sulla fugacità dell'istante e sulla persistenza della memoria. L'acquisto dell'archivio fotografico "Macondo" rappresenta un punto di svolta nella sua ricerca artistica. Centinaia di migliaia di immagini, ritraenti i volti e i gesti di migliaia di persone, diventano il materiale grezzo per una riflessione profonda sul tempo che passa e sulla natura effimera dell'esistenza.
In "Archivio Macondo (la curva del tempo zero)", Bucher trasforma questo immenso archivio in un'opera complessa e affascinante, dove il tempo si dilata e si contrae secondo le leggi dell'I Ching. L'artista, ispirandosi alle teorie di Terence McKenna, utilizza l'antico oracolo cinese per estrarre dal caos delle immagini un ordine nascosto, una sorta di "firma del tempo". Ogni fotografia diventa così un frammento di un puzzle cosmico, un tassello di una storia più grande che va oltre la singola immagine.
L'opera di Bucher è un invito a rallentare, a osservare con attenzione la realtà che ci circonda, a cogliere quei dettagli che spesso sfuggono al nostro sguardo distratto. Attraverso la manipolazione del tempo e dello spazio, l'artista ci mostra come la realtà sia un costrutto fluido e mutevole, e come la nostra percezione del mondo sia profondamente influenzata dalle nostre esperienze e dalle nostre aspettative.
In conclusione, François Bucher ci offre una visione affascinante e complessa della realtà, invitandoci a riflettere sulla nostra condizione di esseri umani nel tempo e nello spazio. Le sue opere sono un invito a esplorare i meandri della nostra mente e a scoprire le infinite possibilità che si celano dietro la superficie delle cose.

Meraviglioso. È quetsa l’opera di Tamas Dezso Tout se met à flotter (Autumn)
2024
Tutto inizia a galleggiare, così dice Antoine Roquentin, perso in una rêverie sulla radice di un castagno. Il protagonista principale del romanzo La nausea di Jean-Paul Sartre presto si renderà conto di essere lui stesso solo uno degli oggetti che lo circondano. Il suo punto di vista umano e privilegiato diventa insignificante. La sua personalità si dissolve nell'infinita moltitudine dell'impersonale, mentre l'esistenza con il suo disordine, la sua assurdità e la sua nudità diventa aliena. La sensazione umanistica di "tutto inizia a galleggiare" può essere paragonata al concetto di ontologia piatta, che gioca un ruolo centrale nella filosofia postumanista contemporanea. L'aggettivo "piatto" si riferisce al fatto che ogni entità - sia umana che non umana, viva o morta - ha lo stesso status ontologico. Vale a dire, nessuno e niente ha una posizione o un significato eccezionale rispetto agli altri.
I dittici rappresentano la proliferazione della vegetazione superficiale di una foresta alpina su due fotografie a colori negative. Poiché la percezione umana si concentra principalmente su colori vivaci, contrasti, suoni e movimenti - fenomeni che un tempo rappresentavano un pericolo e influivano direttamente sulla sopravvivenza della nostra specie - l'esistenza vegetale silenziosa, lenta e ininterrotta è stata confinata alla periferia dell'attenzione umana ed è diventata uno sfondo inosservato delle nostre vite. L'opera offre un doppio gesto: da un lato, presenta una forma di esistenza altrimenti trascurata in un formato insolitamente grande, e dall'altro interrompe la percezione spaziale del destinatario invertendo l'immagine in negativo: "tutto inizia a galleggiare" in assenza di ombre. La nostra percezione è sopraffatta da un'interpretazione forzata. Continua a cercare di attribuire significato alle forme. I colori complementari, le tonalità e i contrasti che sostituiscono l'antica ambientazione sullo sfondo verde costringono la mente a riapprendere e relazionarsi in un nuovo modo. Il luogo rappresentato cessa di essere un luogo ed è sostituito dalla vista di una strana, aliena, decentralizzata e non gerarchica organizzazione di attori vegetali. Il semplice gesto dell'immagine negativa nasconde i nostri abituali disturbi e carenze percettive, che si traducono nella contingenza, nella qualità e nella radicale alterità dell'esistenza vegetativa nascosta. L'imaging invertito non è solo un modo estetico di espressione, ma un tentativo di ripensare il nostro rapporto con i nostri modi di vedere e con la natura.

Nel buio della pellicola: un dialogo tra arte, storia e potere
L’arte, specchio dell’anima e riflesso della realtà, si trova spesso a confrontarsi con domande esistenziali che sfidano le sue stesse fondamenta. Se è vero che da sempre l’artista ha cercato di catturare l’essenza del mondo, rappresentandone gioie e dolori, come si pone di fronte a una realtà cruda, a una verità scomoda? Quando la rappresentazione della sofferenza diventa arte, dove si tracciano i confini tra documentazione e manipolazione?
Questi interrogativi trovano un eco profondo nel progetto collaborativo “Killing the Negative: A Conversation in Art & Verse”, nato dall’incontro tra l’artista visivo Joel Daniel Phillips e il poeta Quraysh Ali Lansana. Tutto ha inizio con una scoperta casuale: sfogliando le fotografie della Farm Security Administration (FSA), Phillips si imbatte in un’immagine di Walker Evans, un negativo letteralmente “ucciso”, con un buco nero al centro.
Questo gesto, apparentemente distruttivo, nasconde in sé una complessità inattesa. Dietro l’atto di cancellare un’immagine si cela una presa di posizione, una scelta che parla di potere, di controllo della narrazione. Roy Stryker, direttore della FSA, con la sua pratica di distruggere le fotografie che non lo soddisfacevano, esercitava una forma di censura, decidendo quali frammenti di realtà potessero essere visti e quali invece dovevano rimanere nascosti.
Phillips e Lansana, di fronte a questo vuoto, decidono di riaprire il dialogo, di dare voce a quella parte di storia che era stata silenziata. Il loro progetto diventa così un’indagine approfondita sulle intersezioni tra arte, storia e potere, un invito a riflettere sul ruolo della fotografia nel documentare la realtà e sulla responsabilità dell’artista di fronte alla verità.
Le poesie che accompagnano le immagini, scritte da autori come Joy Harjo, Jaki Shelton Green e Randall Horton, aggiungono un ulteriore livello di complessità al progetto. Le parole, intrecciandosi con le immagini, creano un dialogo polifonico, dove passato e presente si fondono, e la voce dei poeti si unisce a quella degli scatti fotografici.
“Ci sono molti tipi di tempo in una fotografia, proprio come in una poesia”, scrive Joy Harjo. In effetti, ogni immagine è una sorta di istantanea, un frammento di un tempo che non tornerà più. Ma è anche molto di più: è un invito alla riflessione, un punto di partenza per costruire nuove narrazioni.
“Killing the Negative” ci ricorda che l’arte non è solo bellezza, ma anche impegno civile. È uno strumento per dare voce ai senza voce, per denunciare le ingiustizie e per costruire un futuro migliore. E ci invita a guardare oltre le apparenze, a scavare nelle profondità delle immagini, per scoprire le storie nascoste che si celano dietro ogni scatto.

Case Tokyo - Eiji Ohashi,
I distributori automatici si trovano lungo quasi tutte le strade in Giappone. Durante le notti di neve, illuminano le strade e forniscono un senso di sicurezza e calore. Eppure i distributori automatici scompariranno non appena i loro dati di vendita scenderanno al di sotto di numeri soddisfacenti. In alcuni aspetti, la presenza dei distributori automatici sembra ricordare la nostra stessa esistenza.
Colori vivaci che emergono contro una natura selvaggia desolata, seguiti da bellissime luci e ombre monocromatiche catturate durante molte notti tranquille e innevate. Guarda attentamente e potresti trovare il Giappone di oggi riflesso da qualche parte nei ritratti dei distributori automatici di Eiji Ohashi. Una malinconica poesia...
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